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« Cosa voglio esprimere con la mia opera? Niente di diverso da quello che ogni artista cerca: raggiungere l'armonia tramite l'equilibrio dei rapporti fra linee, colori e superfici. Solo in modo più nitido e più forte. » (P. Mondrian)

martedì 14 giugno 2011

Qualcosa di nuovo e unico nel portagioie

Non disperate se, ormai, di skull mania non ne potete più e mai l'avete sfiorata con un dito (e diciamocelo pure: pace alla buon'anima di McQueen, ma Damien Hirst col suo teschio più che trascendere la decadenza la esalta in ogni sua più bieca sfaccettatura). Può venirvi in aiuto una giovane designer di gioielli polacca, Sylwia Claus. Che siate amanti del bio, del green o non abbiate il minimo pollice verde, sicuramente sarete incuriositi dai suoi anelli e pendenti in resina trasparente nei quali sono incastonati veri pezzi di natura: muschio, parti di pigne, cappelli delle ghiande. Un effetto davvero scenografico che nasce da tanta attenzione per le piccole e strabilianti regolarità naturali.


Altrimenti, potete consacrarvi a questa designer di Chicago, soprattutto se siete amanti del vintage. La maggior parte dei pendenti è fatta di piccole foto stampate su plastica trasparente, immersa poi nella resina levigata per renderla lucida. Potete trovare anche braccialetti fatti con negativi, accessori vintage e tante chicche. Come questo ciondolo-righello

lunedì 13 giugno 2011

Sedia con ombra


Uno dei primi progetti che doveva fare uno studente del Bauhaus riguardava la sedia. Semplice, onnipresente, importantissima, è di fondamentale importanza coniugare design, comodità e fruibilità.

A questo proposito trovo davvero interessante il progetto degli architetti australiani della ClarkeHopkinsClarke chiamato The purposefulness of shadow. Si tratta di una seduta che, oltre alla forma base della sedia, implementa una sua ombra. Lo spazio che si viene a creare tra i due elementi è funzionale ed utilizzabile per mettere (finalmente) tutti gli oggetti che si portano con sé (giacca, borse, porta laptop...). Illusione ottica funzionale, ombra utile, minimalismo un po' rivisitato.

giovedì 9 giugno 2011

Happier Meal, ovvero MacDonlad's da chef

Prendete quattro chef e chiedete loro di trasformare un Big Mac Menu completo di salse in un piatto a cinque stelle aggiungendo al massimo olio o acqua. Ecco i risultati.
Local Kitchen's McLumi Platter (Fabio Bondi)
Quelle che sembrano salsicce, sono in realtà mortadelline affumicate di hamburger emulsionati con lattuga, cipolla e salsa agrodolce. Affumicate perché è stato l'unico metodo di cottura a preservarle dalle esplosioni avvenute con la cottura in padella e in acqua. Per guarnire, crostini di pane e "mostarda" di ketchup e semi di sesamo. Il tutto accompagnato a nodini di patate fritte.

Campagnolo's Big Mac all'Americana [sic!] (Craig Hardin e Nigel French)
Vive l'Italie: la dolce vita, il cibo buono e la pasta. Perché questo piatto è un finto piatto di pasta: patate fritte tagliate a julienne simil-spaghetti serviti con un sugo alla bolognese (!) a base di hamburger e ketchup. Una grattata di pane da hamburger tostato al posto del parmigiano, perché "in Italia, quando non puoi permetterti il formaggio, si usa il pane, il parmigiano dei poveri".




The Drake's Birthday surprise (Anthony Rose)
Per creare una MacTorta di compleanno prendete l'hamburger condito con una miscela di patatine, ketchup, salsa speciale e coca cola e congelatelo (in stile torta gelato). Decorate con cetrioli sminuzzati e usate una riduzione di coca cola come salsa. Le candeline? Sono patatine fritte che, se sono unte al punto giusto, si accenderanno a regola d'arte.


Aravind's open-faced Samosas (Raj e Aravind Kozhikott)
Influenza indiana per questo MacSamosa (i samosa sono una sorta di ravioli ben ripieni e fritti). Il ripieno è fatto col trito dell'hamburger condito con cipolla e salsa barbecue. L'involucro è di pane. A completare il piatto, ciuffetti di patatine legate con strisce della loro confezione originale e salsa di formaggio.

L'unico che tenterei di mangiare è l'ultimo. Ma gli sforzi creativi sono davvero eccellenti.





domenica 5 giugno 2011

Polipo domestico



Avremmo più o meno tutti sentito dire che la luce arreda; più difficile è capire cosa questo significhi. In linea generale, e in modo molto sintetico, se studiamo l'illuminazione di casa in modo che questa attiri l'attenzione su certi particolari, crei punti di attenzione specifici, valorizzi certi aspetti architettonici e/o trasformi uno spazio... ecco, si, stiamo arredando con la luce.
Oggi pensavo di fare un passo oltre. Arrediamo con (e per mezzo) della luce anche quando si sceglie una lampada, fonte e supporti luminosi. C'è chi preferisce i faretti incassati e invisibili, chi lampade imponenti. E se prendessimo un polipo?
Per ora avevo visto solo i giapponesi riuscire a dare un aspetto carino, o quantomeno simpatico, a una creatura marina associata, nell'immaginario collettivo, a ogni possibile declinazione di orrore sottomarino. Poi ho scoperto Markus Johansson, laureato alla scuola di design di Gothenburg, il quale ha creato Cirrata (la polipo-lampada) come progetto per la sua tesi.

Cirrata è fatta di Corian, un materiale inventato e prodotto dalla DuPont, resistente e uniforme che può essere fresato come il legno. Combinazione di pregi che ha permesso la creazione di un design sinuoso e leggero, tanto leggero che la struttura poggia sulla punta dei tentacoli.
Il suo talento promettente merita un approfondimento visivo sul suo sito.

domenica 22 maggio 2011

Op: arte cinetica e programmata


L'attrazione per i meccanismi (o "le cose che si muovono"), per le illusioni e i giochi ottici suppongo sia universale. Si risveglia il nostro lato fanciullesco e curioso, capace ancora di meravigliarsi degli artifici della fisica e della psiche. Trovare questi giochini in un museo o in una mostra è divertente, ma al contempo farà sorgere a qualcuno il grande interrogativo da sindrome da arte contemporanea "e questa sarebbe arte?".
Pensiamo all'Informale (vedasi, per esempio, Pollock e l'action painting): negazione della forma, espressione totale, libera e violenta delle tensioni interiori, il materiale -o il mezzo creativo- è l'opera. Fatto? Molto bene, ora dimenticate tutto. Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria: dall'informale si passa al programmato. Un po' per reazione, un po' per ricerca di una nuova poetica, avendo ormai il primo movimento esaurito la sua parabola.
Razionale, ordinata, ritmata e ciclica, l'arte cinetica propone una nuova visione del creativo e dell'interazione arte-società. L'artista cinetico è una figura pienamente inserita nel suo contesto storico, non se ne allontana per poter meglio esprimere il suo pensiero, piuttosto vi interagisce, attingendo a piene mani a diversi campi del sapere -in particolare quello scientifico-tecnologico-. Compenetrazione e interazione di ambiti diversi (spesso, poi, considerati inconiugabili) non si esauriscono nella fase creativa, ma anzi e soprattutto, continuano nel prodotto finale e nella sua esposizione. Il progetto di un'opera programmata comprende come parte fondamentale lo spettatore. Se questi non ci fosse, l'opera sarebbe incompleta, poiché serve il suo sistema percettivo per renderla tale. Il senso delle cose, si dovrebbe sapere, sta negli occhi di chi guarda (e questo è presupposto fondamentale per approcciarsi all'arte moderna e contemporanea... ma ammetto che molto spesso i miei occhi vagano smarriti e si abbandonano alla mera esperienza estetica), ma con l'Op(tical) Art si fa un passo ulteriore: oltre al senso, si dà vita all'arte. Da spettatori. L'artista non è, però, delegittimato e privato del suo ruolo: egli pone le regole e gli elementi base; lo spettatore li compone a modo suo. Una cooperazione, un gioco di restrizioni e libero arbitrio. Non è affascinante?
Così, un macchinario scrupolosamente composto e costruito diventa - e crea - arte nel momento in cui l'avventore prende una moneta e lo aziona. E' il caso del Meta-matic di Tinguely, una struttura meccanica che dipinge quadri automaticamente, costruita da un artista acuto ed ironico, azionata dallo spettatore, il quale poteva anche scegliere il colore del pennarello che sarebbe stato usato per creare un automaticissimo quadro informale. Capolavoro di forma e tecnica, volendo anche gioco, infine evidente manifestazione della moltiplicabilità a basso costo delle opere d'arte (i soliti artisti criticoni e beffardi). Per chi è stimolato di più dalle esperienze a tutto tondo c'è la Camera Stroboscopica di Boriani. In una stanza foderata di specchi e dai pavimenti colorati sono proiettate luci stroboscopiche in modo da creare una dimensione esistenziale completamente diversa (alcuni la chiamerebbero "trip", per essere chiari). Niente di così creativamente fenomenale forse, se non fosse per un aspetto meraviglioso: nel progetto dell'opera è compreso il fattore aleatorio, la percezione totalmente soggettiva di quanto accade nella stanza. Le tue percezioni e il tuo modo di affrontare quello spazio sono uno dei pilastri del progetto. Ultimo, e forse più chiaro esempio, è la Topoestesia di Gianni Colombo. In uno schema operativo accuratamente messo a punto - predispone le regole a cui attenersi- si muove lo spettatore che, con il suo coinvolgimento e apporto fisico e psichico, interviene sulle variabili già programmate per creare la propria esperienza di spazio. Soggetto, oggetto, agente, causa, reazione. Reazione che prende vita con i passi e la loro organizzazione in quello spazio in base a quanto si percepisce. [topoesteìa (o topesteìa) s. f. [comp. di topo- e -estesia]. – Nel linguaggio medico, la capacità di localizzare, in assenza della vista, il punto di applicazione di uno stimolo tattile. È detta anchetopognosi o topognosìa.]
E poi ancora, sculture motorizzate, giochi di equilibrio, effetti ottici di movimento, flussi luminosi. Un po' di nomi? Alexandre Calder, Bruno Munari, Gruppo T, GRAV, Gruppo Zero, Tinguely, Sol LeWit.

Un'arte curiosa, che offre il piacere dell'interazione, l'ironia del gioco e la riflessione sulla razionalità artistica, sull'arte stessa, su noi stessi. Un po' di Gestalt in più.


mercoledì 15 dicembre 2010

Profumo di arte


E’ sempre un piacere vedere che la moda, quella vera, collabora e si fonda anche sull’arte. Moda come frivolezza e apparenza è un concetto da lasciare a Carla&Enzo di Discovery Real Time con i loro commenti acidelli e uno snobismo più cheap del modo in cui vestono le loro “clienti”. L’eau de parfum M/Mink è uno sforzo collaborativo nato tra la casa di profumi svedese Byredo e il mondo creativo dei parigini M/M. Michael Amzalag e Mathias Augustyniak fondano nel 1992 un’entità (la M/M) in grado di lavorare in ogni campo creativo, che sia arte, moda o musica. Collaborazione ottimamente riuscita, visto che i loro lavori sono stati esposti al Guggenheim di New York, al Centre Pompidou, al Victoria&Albert Museum e al Frankfurter Kunstverein (e sicuramente anche in altri luoghi!). Un giorno Michael e Mathias decidono di invitare Ben Gorham della Byredo al loro studio a Parigi per presentargli il loro concept: un ritorno al tradizionale con quella nota minimale tipica orientale che evochi la pratica della calligrafia giapponese con i suoi inchiostri solidi e corposi. M/M danno allo svedese tre immagini (un blocco di inchiostro, un maestro di calligrafia e un disegno su carta tradizionale coreana); sette mesi più tardi Gorham fa nascere una fragranza strutturata in modo semplice, ma dal carattere estremo. La freschezza marina e floreale dell’Adoxal, si lega a un cuore di incenso e una coda di patchouli, ambra e miele di trifoglio. Per l’immagine di presentazione, sono state utilizzate fotografie di Inez van Lamsweerde e Vinoodh Matadin, elaborate in modo da creare un artwork tutto nuovo attraverso pennellate di inchiostro che ricordano, appunto, la calligrafia giapponese. Del resto M/M non sono nuovi al mondo delle campagne pubblicitarie, avendo lavorato per Balenciaga, Calvin Klein e Yoji Yamamoto. La particolarità di questo profumo non sta tanto nelle sue note olfattive, quanto nel suo processo creativo, il quale sovverte il normale iter di nascita (prima il profumo, poi la sua immagine). Qui la fragranza viene ispirata dall’immagine... e, se ci pensiamo, noi per primi associamo un profumo a delle immagini. Creare il profumo dell’idea dell’inchiostro, della precisione e dell’equilibrio dell’arte giapponese. Gorham ha dato corpo allo spirito che dà vita all’articolazione visiva del progetto. M/Mink

Curiosi di provare l’idea che diventa fragranza? Da Colette a Parigi si trova a 140€. In Italia non l’ho ancora visto.

mercoledì 8 dicembre 2010

Wonderlamp: la collezione con i super poteri



Mettete insieme due perfezionisti visionari e fashionisti con un’artista della materia ed otterrete il fascino di oggetti che, più che in salotto, dovrebbero trovarsi al Pompidou.

Studio Job: due designers - Job Smeets e Nynke Tynagel - ,il cui lavoro tende fortemente verso l’arte contemporanea (così dadaista!), dalle idee tanto surreali e impressionanti, che Viktor&Rolf li ha fatti interpreti delle scenografie delle loro sfilate.

Pieke Bergmans: ermeneuta strabiliante del vetro soffiato, che nelle sue mani si trasforma in morbido plasma dalle imperfezioni affascinanti (nonché segno di unicità).

In questo connubio di design erede di giustapposizioni surrealiste, quegli oggetti così quotidiani e familiari si trasformano in curiose novità (e must have) nel momento in cui sono tramutati i materiali e la destinazione d’uso. Prendete una pipa, ingigantitela e placcatela in bronzo; aggiungete poi una bolla sinuosa di luce che prende il posto del fumo: ecco il design efficace! Non è una pipa, al massimo una lampada che ricorda una pipa; ma non è nemmeno una lampada, per lo meno come la vediamo di solito. E’ un approccio scherzoso alla luce, agli oggetti, alle funzioni di questi e il rapporto che intercorre tra noi e loro. Questo è il bello della creatività: dare nuova vita e nuova luce a quanto di più scontato incontriamo nelle nostre giornate.

E se le speculazioni sull’ideazione possono essere superflue, sicuramente quello che rimane è la bellezza di queste lampade dai super poteri


 
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