L'attrazione per i meccanismi (o "le cose che si muovono"), per le illusioni e i giochi ottici suppongo sia universale. Si risveglia il nostro lato fanciullesco e curioso, capace ancora di meravigliarsi degli artifici della fisica e della psiche. Trovare questi
in un museo o in una mostra è divertente, ma al contempo farà sorgere a qualcuno il grande interrogativo da sindrome da arte contemporanea "e questa sarebbe arte?".
Pensiamo all'Informale (vedasi, per esempio, Pollock e l'action painting): negazione della forma, espressione totale, libera e violenta delle tensioni interiori, il materiale -o il mezzo creativo- è l'opera. Fatto? Molto bene, ora dimenticate tutto. Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria: dall'informale si passa al programmato. Un po' per reazione, un po' per ricerca di una nuova poetica, avendo ormai il primo movimento esaurito la sua parabola.
Razionale, ordinata, ritmata e ciclica, l'arte cinetica propone una nuova visione del creativo e dell'interazione arte-società. L'artista cinetico è una figura pienamente inserita nel suo contesto storico, non se ne allontana per poter meglio esprimere il suo pensiero, piuttosto vi interagisce, attingendo a piene mani a diversi campi del sapere -in particolare quello scientifico-tecnologico-. Compenetrazione e interazione di ambiti diversi (spesso, poi, considerati inconiugabili) non si esauriscono nella fase creativa, ma anzi e soprattutto, continuano nel prodotto finale e nella sua esposizione. Il progetto di un'opera programmata comprende come parte fondamentale lo spettatore. Se questi non ci fosse, l'opera sarebbe incompleta, poiché serve il suo sistema percettivo per renderla tale. Il senso delle cose, si dovrebbe sapere, sta negli occhi di chi guarda (e questo è presupposto fondamentale per approcciarsi all'arte moderna e contemporanea... ma ammetto che molto spesso i miei occhi vagano smarriti e si abbandonano alla mera esperienza estetica), ma con l'Op(tical) Art si fa un passo ulteriore: oltre al senso, si dà vita all'arte. Da spettatori. L'artista non è, però, delegittimato e privato del suo ruolo: egli pone le regole e gli elementi base; lo spettatore li compone a modo suo. Una cooperazione, un gioco di restrizioni e libero arbitrio. Non è affascinante?
Così, un macchinario scrupolosamente composto e costruito diventa - e crea - arte nel momento in cui l'avventore prende una moneta e lo aziona. E' il caso del Meta-matic di Tinguely, una struttura meccanica che dipinge quadri automaticamente, costruita da un artista acuto ed ironico, azionata dallo spettatore, il quale poteva anche scegliere il colore del pennarello che sarebbe stato usato per creare un automaticissimo quadro informale. Capolavoro di forma e tecnica, volendo anche gioco, infine evidente manifestazione della moltiplicabilità a basso costo delle opere d'arte (i soliti artisti criticoni e beffardi). Per chi è stimolato di più dalle esperienze a tutto tondo c'è la Camera Stroboscopica di Boriani. In una stanza foderata di specchi e dai pavimenti colorati sono proiettate luci stroboscopiche in modo da creare una dimensione esistenziale completamente diversa (alcuni la chiamerebbero "trip", per essere chiari). Niente di così creativamente fenomenale forse, se non fosse per un aspetto meraviglioso: nel progetto dell'opera è compreso il fattore aleatorio, la percezione totalmente soggettiva di quanto accade nella stanza. Le tue percezioni e il tuo modo di affrontare quello spazio sono uno dei pilastri del progetto. Ultimo, e forse più chiaro esempio, è la Topoestesia di Gianni Colombo. In uno schema operativo accuratamente messo a punto - predispone le regole a cui attenersi- si muove lo spettatore che, con il suo coinvolgimento e apporto fisico e psichico, interviene sulle variabili già programmate per creare la propria esperienza di spazio. Soggetto, oggetto, agente, causa, reazione. Reazione che prende vita con i passi e la loro organizzazione in quello spazio in base a quanto si percepisce. [topoesteṡìa (o topesteṡìa) s. f. [comp. di topo- e -estesia]. – Nel linguaggio medico, la capacità di localizzare, in assenza della vista, il punto di applicazione di uno stimolo tattile. È detta anchetopognosi o topognosìa.]
E poi ancora, sculture motorizzate, giochi di equilibrio, effetti ottici di movimento, flussi luminosi. Un po' di nomi? Alexandre Calder, Bruno Munari, Gruppo T, GRAV, Gruppo Zero, Tinguely, Sol LeWit.
Un'arte curiosa, che offre il piacere dell'interazione, l'ironia del gioco e la riflessione sulla razionalità artistica, sull'arte stessa, su noi stessi. Un po' di Gestalt in più.